SANITA' E SANITARI - Tribunale Pescara Sent., 10-05-2018

SANITA' E SANITARI - Tribunale Pescara Sent., 10-05-2018

L'ente ospedaliero risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un proprio dipendente. Tale responsabilità discende dall'art. 1228 c.c., secondo cui il debitore, che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi, risponde dei fatti dolosi e colposi di questi. L'assunto si fonda evidentemente sul costante orientamento giurisprudenziale r il quale la responsabilità della struttura sanitaria è stata sempre inquadrata nell'ambito della responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto, in particolare del cosiddetto contratto atipico di spedalità, il cui oggetto consiste sia in prestazioni principali di carattere sanitario che in prestazioni secondarie ed accessorie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PESCARA

RITO MONOCRATICO

(artt. 50 ter, 281 quinquies c.p.c.)

Il Giudice del Tribunale di Pescara, Dott. Marco Bortone, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile n. 2193 del R.G.A.C.C. dell'anno 2012 vertente

TRA

D.N.L. ((...)), residente in P. ed ivi elettivamente domiciliata, in Via Paolini n. 100, presso lo studio dell'avv. Damiano Zoppo, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio S. Scampoli giusta procura a margine dell'atto di citazione

ATTRICE

CONTRO

U.S. / Liquidatoria ((...)), in persona del Direttore Generale dell'A.P. in qualità di Commissario Liquidatore e legale rappresentante pro tempore dott. C.D., con sede in P. ed ivi elettivamente domiciliata, in Via Pisa n. 29, presso lo studio dell'avv. Dante Angiolelli, che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla copia notificata dell'atto di citazione

CONVENUTA

CON L'INTERVENTO IN CAUSA DI

I.A. S.p.a. ((...)), in persona dei legali rappresentanti pro tempore dott. F.B. e dott. G.T., rappresentata da G.B.-G.B. S.C.p.A., in persona dei suoi legali rappresentanti, in forza di procura autenticata dal Notaio Francesco Maria Sirolli Mendaro Pulieri in data 14-12-2009, elettivamente domiciliata in Pescara, Via Tintoretto n. 1, presso lo studio dell'avv. Fulvia Baldassarre, rappresentata e difesa dall'avv. Virginia Gozzi giusta procura speciale rilasciata in Milano avanti il Notaio Carlo Marchetti in data 29-1-2010

TERZA CHIAMATA IN CAUSA

OGGETTO: risarcimento danni.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato il 30-4-2012 D.N.L. conveniva in giudizio l'U.S. / Liquidatoria per essere risarcita dei danni, patrimoniali e non, da quantificarsi in caso di contestazione tramite c.t.u. e/o secondo giustizia, patiti per aver contratto infezione da HCV, accertata il 10-4-2002, a seguito di emotrasfusione effettuata il 23-9-1976 presso l'Ospedale di Pescara, ove si era ricoverata per travaglio a termine, così come riconosciuto dalla Commissione Medica Ospedaliera di Chieti, che, con verbale del 14-1-2004, aveva accolto la domanda di indennizzo presentata il 7-5-2013.

L'U.S. / Liquidatoria si costituiva in giudizio eccependo il difetto di legittimazione passiva, l'intervenuta prescrizione estintiva decennale o quinquennale del diritto e dell'azione esercitati e fatti valere e comunque l'assoluta mancanza del nesso di causalità tra l'emotrasfusione effettuata presso l'Ospedale di Pescara il 23-9-1976 e la patologia infettiva cronica diagnosticata il 10-4-2002, dunque a distanza di circa ventisei anni; che inoltre all'epoca non era in vigore alcuna specifica normativa concernente l'obbligo di documentazione sulla tracciabilità del sangue e degli emoderivati utilizzati nelle trasfusioni e/o l'obbligo della cosiddetta "farmacosorveglianza" e che i danni di cui si chiedeva il ristoro non erano assolutamente prevedibili; contestando dunque sia l'an che il quantum debeatur, concludeva per il rigetto della domanda ovvero perché questa fosse contenuta nei limiti del giusto e dell'equo, detratto e scomputato l'importo già percepito a titolo di indennizzo ex L. 24 febbraio 1992, n. 210 ed in subordine, avanzando richiesta di essere autorizzata a chiamare in causa la compagnia assicuratrice I. - A. S.p.a. in forza di polizza per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori di lavoro, nonché rischi diversi, per essere da questa garantita.

Autorizzata la chiamata in causa, l'I. - A. S.p.a. si costituiva in giudizio eccependo di aver ceduto a G.A. S.p.a., in esecuzione di cessione di ramo d'azienda, anche il contratto di specie con l'U.P.; comunque l'infondatezza della domanda di manleva, risalendo la vicenda al 23-7-1976, quando non esisteva alcun contratto di assicurazione; associandosi per il resto alle difese della convenuta, concludeva dunque per il rigetto della domanda di garanzia ed in subordine perché fosse contenuta nei massimali di polizza, nonché per il rigetto della domanda principale ed in subordine perché fosse limitata in ragione dell'effettiva entità del danno.

Acquisite prove documentali ed espletata una c.t.u., infine all'udienza del 18-10-2017 i procuratori delle parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta per la decisione con concessione dei termini di giorni sessanta più venti ex art. 190 c.p.c..

RAGIONI GIURIDICHE DELLA DECISIONE

L'attività istruttoria si è incentrata sulla c.t.u. del dott. Paolo Albanese (relazioni depositate, anche in replica alle osservazioni critiche di parte convenuta, il 19-5-2015), le risultanze della quale appare dunque opportuno innanzi tutto richiamare.

Ha argomentato il c.t.u., esaminata la documentazione ritualmente acquisita, visitata l'attrice e ripercorso l'iter clinico della medesima, che:

- la D.N.L. è affetta da un quadro morboso definibile nosologicamente come "Epatite cronica HCV correlata, genotipo 1b": epatopatia cronica legata alla infezione del virus dell'Epatite C (HCV), agente eziologico, prima della sua identificazione, indicato con il termine di "Epatite non A - non B", a significare una forma diversa da quelle fino ad allora conosciute; il virus si trasmette prevalentemente con il sangue e, tra le categorie delle persone a rischio, sono infatti ricompresi i soggetti emotrasfusi, quelli trattati con emoderivati e i dializzati;

- l'infezione da HCV ha un'incubazione variabile da 15 a 160 giorni, con una media di 7 settimane, e, nella fase acuta, spesso non si associa ad un quadro clinico rilevante, ma per lo più decorre in modo asintomatico o al più paucisintomatico ed in forma anitterica, tanto da essere il più delle volte scoperta quando di fatto sia già cronicizzata attraverso il riscontro, talora del tutto accidentale, di valori alterati delle transaminasi;

- in generale, dopo l'infezione acuta da HCV, la probabilità di sviluppare un'infezione cronica si avvicina all'85-90%, anche se solo una minoranza dei soggetti infetti presenta la progressione verso un'epatopatia severa;

- lo screening di routine dell'HBsAg nel sangue destinato alla trasfusione venne introdotto in Italia per L. nel 1978;

- all'epoca della trasfusione in questione (settembre 1976) non era possibile testare il sangue da trasfondere con specifici markers atti a segnalare la presenza di detto virus, in quanto la prima messa a punto del primo test sierologico per la determinazione dell'anticorpo omologo avvenne nel 1988 (contestualmente alla scoperta del virus) e la sua disponibilità su larga scala si ebbe solo tra la fine del 1989 e l'inizio del 1990; tuttavia, in assenza di un test che identificasse in maniera specifica tale virus, veniva suggerito l'impiego di test indiretti, ossia esami non specifici la cui positività poteva far sospettare la presenza di una patologia epatica e sconsigliarne l'utilizzo;

- nel corso della degenza della D.N. presso l'Ospedale di Pescara e segnatamente durante il travaglio del parto si determinò un'importate emorragia, per cui si rese necessario procedere ad emotrasfusione (effettuata regolarmente nello stesso giorno del 23/9/76); un esame emocromocitometrico confermò la presenza della grave anemia; la emotrasfusione fu dunque un trattamento adeguato alle circostanze e non vi erano altre possibili terapie alla luce della urgenza del caso e del concreto pericolo di vita in cui si trovava la paziente;

- il nesso causale intercorrente tra la suddetta emotrasfusione e l'attuale quadro clinico nosologico (epatite cronica HCV correlata) risulta altamente probabile sia per il fatto che non si ravvedono altri fattori causali di rischio e sia per il fatto che, come sopra accennato, molto spesso la fase di acuzie della malattia non si associa a quadri clinici rilevanti e decorre per lo più paucisintomatico o addirittura asintomatico, evolvendo inoltre la malattia in maniera del tutto misconosciuta;

- non è dato sapere quali test furono effettuati sul sangue delle sacche somministrate alla D.N. né risulta essere stato possibile rintracciare i donatori delle sacche trasfuse alla paziente, così come da nota del 5/8/2003 del Primario del Dipartimento di Medicina trasfusionale del P.O. di Pescara trasmessa alla Commissione Medica Ospedaliera (CMO - Centro Militare di Medicina Legale di Chieti) che esaminò il caso ai fini della concessione dei benefici di cui alla L. n. 210 del 1992; a tal riguardo occorre evidenziare il riferimento alle "sacche AVIS 1715 e 1717";

- i sanitari della U.O. di Ostetricia che disposero di effettuare l'emotrasfusione non erano tenuti ad effettuare alcun tipo di controllo sulle sacche, le quali venivano dunque fornite preconfezionate dalla locale emoteca ubicata nello stesso P.O. di Pescara e, pertanto, si uniformarono ad una buona e corretta pratica clinica;

- la menomazione dalla quale risulta affetta l'attrice si caratterizza per la presenza di una costante viremia, di un lievissimo incremento dell'enzima GTP (transaminasi), di un modico aumento volumetrico del fegato con associata steatosi di grado lieve-moderato, a cui fa riscontro un quadro clinico sintomatologico di astenia, dispepsia, sonnolenza associato ad un comprensibile stato d'animo di apprensione legato alla imprevedibilità evolutiva della malattia; il danno alla persona è dunque valutabile nella misura di circa il 20 % in termini di riduzione dell'integrità psico-fisica;

- la consapevolezza acquisita dalla D.N. del danno suddetto può essere fatta risalire alla data del 10/4/2002, allorquando ella fu dimessa dal Day-Hospital della U.O. di Medicina del P.O. di Pescara con la diagnosi per l'appunto di "Epatite cronica HCV-RNA+"; ed invero: gli esami del 20/2/1992 parlano esclusivamente di positività nei confronti del HBV (Hepatitis B Virus); gli esami del 2/2/1994 documentano transaminasi normali e non afferiscono a marcatori epatici; gli esami del 25/6/1996 riportano una positività nei confronti del HCV (primo riscontro in assoluto) ed una negativizzazione del HBV nonché transaminasemia nella norma; gli esami del 20/9/2001 mostrano gli enzimi epatici (transaminasi) gravemente alterati (I riscontro); gli esami del 3/10/2001 riportano la positività del HCV e del HBV, mentre, dopo alcuni mesi (13/2/2002), la D.N. veniva ricoverata, per la prima volta, presso il Day-Hospital della U.O. di Medicina ovest del P.O. di Pescara e qui veniva formulata sempre per la prima volta la diagnosi di "Epatite cronica HCR RNA +";

- non vi sono in atti documenti attestanti esborsi sostenuti in proprio dalla perizianda né sono prevedibili spese future.

Orbene, parte attrice invoca la responsabilità contrattuale della convenuta, donde il termine decennale di prescrizione della pretesa risarcitoria azionata.

L'assunto si fonda evidentemente sul costante orientamento giurisprudenziale, da ritenersi tuttora valido, pur all'esito dei recenti interventi legislativi (dapprima la cosiddetta Legge Balduzzi, articolo 3 del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189; poi la cosiddetta Legge Gelli, L. 8 marzo 2017, n. 24), per il quale la responsabilità della struttura sanitaria è stata sempre inquadrata nell'ambito della responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto, in particolare del cosiddetto contratto atipico di spedalità, il cui oggetto consiste sia in prestazioni principali di carattere sanitario che in prestazioni secondarie ed accessorie (assistenza, vitto e alloggio): "In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l'osservanza da parte di un nosocomio - pubblico o privato - delle dotazioni ed istruzioni previste dalla normativa vigente per le prestazioni di emergenza non è sufficiente ad escludere la responsabilità per i danni subiti da un paziente in conseguenza della loro esecuzione, essendo comunque necessaria - in forza del concluso contratto di "spedalità" - l'osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza, che impongono a quelle strutture di tenere, in concreto e per il tramite dei propri operatori, condotte comunque adeguate alle condizioni del paziente, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare l'esito infausto" (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2015, n. 21090).

Ancora (Cass.civ., Sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297): "L'ente ospedaliero risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un proprio dipendente. Tale responsabilità discende dall'art. 1228 cod. civ., secondo cui il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi risponde dei fatti dolosi e colposi di questi"; ed ancora (Cass. civ., Sez. III, 25 maggio 2006, n. 12362): "Il ricovero di un paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente stesso ed il soggetto gestore della struttura, e l'adempimento di tale contratto, con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell'ambito del contratto di prestazione d'opera professionale, con la conseguenza che il detto gestore risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa, alla stregua delle norme di cui agli artt. 1176 e 2236 cod. civ.. Il positivo accertamento della responsabilità dell'istituto postula, pertanto, (pur trattandosi di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di onere della prova, che grava, per l'effetto, sull'istituto stesso e non sul paziente), pur sempre la colpa del medico esecutore dell'attività che si assume illecita, non potendo detta responsabilità affermarsi in assenza di tale colpa (fatta salva l'operatività di presunzioni legali in ordine al suo concreto accertamento), poiché sia l'art. 1228 che il successivo art. 2049 cod. civ.presuppongono, comunque, un illecito colpevole dell'autore immediato del danno, cosicché, in assenza di tale colpa, non è ravvisabile alcuna responsabilità contrattuale del committente per il fatto illecito dei suoi preposti".

Ancora la Cass. civ., Sez. III, 22 settembre 2015, n. 18610 (in precedenza conforme Cass. civ., Sez. III, 14 giugno 2007, n. 13953) ha sancito che "il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo "latu sensu" alberghieri, obblighi di messa a disposizioni del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto".

Senonchè nel caso di specie, alla luce della c.t.u. e per quanto comunque non contestato dall'attrice, ai sanitari dell'Ospedale Civile di Pescara che l'ebbero in cura per il parto e che le praticarono la trasfusione di sangue di cui si controverte, deve essere riconosciuto di aver correttamente operato, nessun addebito potendo in particolare essere loro mosso per quanto concerne detta trasfusione, neppure sotto il profilo per il quale, nell'ambito delle prestazioni cui l'ente di cura è obbligato, dovesse farsi rientrare anche quella di fornire sangue non infetto, posto che nessun tipo di controllo avrebbe potuto e dovuto essere effettuato sulle sacche, fornite preconfezionate dalla locale emoteca, come evidenziato "sacche AVIS 1715 e 1717".

Ed allora deve farsi riferimento al costante orientamento giurisprudenziale che fa capo all'autorevole intervento della Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576, con il quale è stata sancita la responsabilità del Ministero della Salute, inquadrabile nella responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., donde il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, che decorre da quando il danneggiato ha percepito o avrebbe potuto percepire, usando l'ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, che la malattia fosse conseguenza della trasfusione con sangue infetto, il che di norma, ma non sempre, avviene con la presentazione della domanda di ammissione all'indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992.

Così la Suprema Corte, a riguardo anche della configurabilità del nesso eziologico: "In tema di responsabilità civile aquiliana, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio"; ne consegue che - sussistendo a carico del Ministero della sanità (oggi Ministero della salute), anche prima dell'entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107, un obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico - il giudice, accertata l'omissione di tali attività con riferimento alle cognizioni scientifiche esistenti all'epoca di produzione del preparato, ed accertata l'esistenza di una patologia da virus HIV, HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'insorgenza della malattia e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento".

Richiamano le Sezioni Unite la L. n. 592 del 1967, il D.P.R. n. 1256 del 1971, la L. n. 519 del 1973, la L. 23 dicembre 1978, n. 833, il D.L. n. 443 del 1987, sì che ancor prima della L. 4 maggio 1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, "deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità, anche strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria. L'omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l'ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando, come nella fattispecie, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell'interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi".

Inquadrata la responsabilità del Ministero nella violazione della clausola generale di cui all'art. 2043 c.c., va invece esclusa anche una responsabilità ex art. 2049 c.c., "non potendo il Ministero rispondere degli eventuali fatti dannosi delle strutture sanitarie, in quanto manca un rapporto di preposizione tra il Ministero e le persone giuridiche pubbliche (Asl, Aziende ospedaliere), tutte dotate di piena autonomia, capacità e responsabilità".

In senso conforme la Cass. civ., Sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26152 ha sancito che "il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un'attività di controllo e di vigilanza in ordine alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell'uso degli emoderivati sicché risponde, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., dei danni conseguenti ad epatite ed a infezione da HIV, contratte da soggetti emotrasfusi, per omessa vigilanza sulla sostanza ematica e sugli emoderivati".

Ancora nello stesso senso Cass. civ., Sez. VI - Lav., Ordinanza n. 2232 del 4 febbraio 2016: "In caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, non sussistono eventi autonomi e diversi ma solo manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo, sicché anche prima dell'anno 1978, in cui il virus dell'epatite B fu definitivamente identificato in sede scientifica, con conseguente scoperta dei mezzi di prevenibilità delle relative infezioni, è configurabile la responsabilità del Ministero della salute per l'omissione dei controlli in materia di raccolta e distribuzione del sangue per uso terapeutico e sull'idoneità dello stesso ad essere oggetto di trasfusione, già consentiti dalle conoscenze mediche e dai dati scientifici del tempo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, accertata la carenza di dati relativi ad uno dei donatori, ha affermato la responsabilità del Ministero per i danni provocati dal contagio dell'epatite C, a seguito di trasfusioni eseguite nell'anno 1974).

Ancora Cass. civ., Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3261: "In materia di emotrasfusione e contagio da virus HBV, HIV, HCV, non risponde per inadempimento contrattuale la singola struttura ospedaliera, pubblica o privata, inserita nella rete del servizio sanitario nazionale, che abbia utilizzato sacche di sangue, provenienti dal servizio di immunoematologia trasfusionale della U., preventivamente sottoposte ai controlli richiesti dalla normativa dell'epoca, esulando in tal caso dalla diligenza a lei richiesta il dovere di conoscere e attuare le misure attestate dalla più alta scienza medica a livello mondiale per evitare la trasmissione del virus, almeno quando non provveda direttamente con un autonomo centro trasfusionale"; ciò che comunque non emerge nel caso di specie per quanto sopra riportato dal c.t.u. ed evidenziato a riguardo delle "sacche AVIS 1715 e 1717" somministrate alla D.N..

E dunque il diritto al risarcimento del danno è soggetto al termine di prescrizione quinquennale (cfr.: Cass. civ., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 8645), "che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche".

La Cass. civ., Sez. VI - III, Ordinanza n. 27757 del 22 novembre 2017 ha precisato che "la presentazione della domanda di indennizzo, di cui alla L. n. 210 del 1992, attesta l'esistenza, in capo al malato e ai familiari, della consapevolezza che queste siano da collegare causalmente con le trasfusioni e, pertanto, segna il limite ultimo di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., ma ciò non esclude che il giudice di merito individui in un momento precedente l'avvenuta consapevolezza del suddetto collegamento sulla base di un accertamento in fatto adeguatamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nel dichiarare prescritto il diritto al risarcimento, aveva fatto risalire l'avvenuta conoscenza del collegamento causale alla data della diagnosi dell'infezione e ciò tenuto conto delle conoscenze esistenti all'epoca in materia e del più generale principio dell'ordinaria diligenza).

Venendo al caso di specie, va intanto precisato come il concetto di legittimazione ad agire o a contraddire (cosiddetta legittimazione attiva o passiva o legitimatio ad causam) si deduca dal principio espresso dall'art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può far valere in giudizio un diritto altrui in nome proprio, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (Cass. civ., Sez. Lav., 13 maggio 2000, n. 6160; numerose altre conformi) ed esso si riferisca alla titolarità in astratto del diritto o del rapporto sostanziale che si fa valere, secondo la prospettazione offerta dall'attore (Cass. civ., Sez. III, 22 novembre 2000, n. 15080), attenendo dunque alla verifica della regolarità processuale del contraddittorio, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Tale concetto va distinto dalla titolarità in concreto del diritto o del rapporto, che attiene al merito della controversia, sottostà ai criteri di ripartizione tra le parti dell'onere probatorio e deve formare oggetto di specifica censura in sede di impugnazione (Cass. civ., Sez. III, 22 giugno 2005, n. 13403: "Quando il convenuto eccepisca la propria estraneità al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, viene a discutersi non di una condizione per la trattazione del merito della causa, quale è la "legitimatio ad causam", nel duplice aspetto di legittimazione ad agire e a contraddire, ma della effettiva titolarità passiva del rapporto controverso, cioè dell'identificabilità o meno nel convenuto del soggetto tenuto alla prestazione richiesta dall'attore; ne consegue che, a differenza del difetto di "legitimatio ad causam", attinente alla verifica - secondo la prospettazione offerta dall'attore - della regolarità processuale del contraddittorio e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, il difetto dell'effettiva titolarità attiva o passiva del rapporto, afferendo al merito della controversia, deve essere provato da chi lo eccepisce, deve formare oggetto di specifica censura in sede di impugnazione e non può essere eccepito per la prima volta in cassazione").

Fatta questa precisazione, risulta fondata, per quanto sopra, l'eccezione della convenuta di non essere il soggetto tenuto a rispondere del danno lamentato dall'attrice e dunque della conseguente pretesa risarcitoria.

Risulta altresì fondata l'eccezione di prescrizione quinquennale del diritto azionato, una volta fatta risalire la conoscenza del danno, alla luce della espletata c.t.u., alla data del 10-4-2002 e rinvenendosi il primo atto interruttivo nella monitoria a firma congiunta della D.N. e dell'avv. Scampoli del 15-11-2011 (doc. 4 del fascicolo di parte).

Né risulterebbe possibile determinare l'esatta misura del danno risarcibile, detraendo quanto già riscosso a titolo di indennizzo ex L. 25 febbraio 1992, n. 210 (cfr.: Cass. civ., Sez. VI - III, 24 settembre 2014, n. 20111), avendo la D.N. omesso ogni indicazione al riguardo, pur dopo aver evidenziato e documentato (doc. 2 del fascicolo di parte) di aver ottenuto dalla Commissione Medica Ospedaliera di Chieti giudizio positivo sia quanto al nesso eziologico dell'infermità con la trasfusione di sangue del 23-9-1976 sia quanto alla tempestività della domanda.

Rigettata pertanto la domanda, la soccombenza della convenuta in ordine alla negazione del nesso di causalità tra malattia dell'attrice e trasfusione praticata nel lontano 1976, invece comprovato, porta a riconoscere i presupposti di integrale compensazione delle spese di lite.

Per quanto concerne la domanda di manleva avanzata nei confronti della terza chiamata in causa, va rilevato come la convenuta, deducendo, in sede di prima memoria autorizzata ex art. 183 c. 6 c.p.c., di essere stata fuorviata dalla corrispondenza intercorsa via e-mail con la Direzione Tecnica - R.C. Sanitaria della generali Group, abbia dichiarato fin dall'udienza del 2-7-2013 di acconsentire all'estromissione dal giudizio della Compagnia di assicurazioni; considerate anche le difese nel merito da quest'ultima svolte, in adesione a quelle svolte dalla convenuta, anche in tal caso possono riconoscersi i presupposti di integrale compensazione delle spese di assistenza legale.

P.Q.M.

Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da D.N.L. ((...)), attrice, contro l'U.S. / Liquidatoria ((...)), in persona del Direttore Generale dell'A.P. in qualità di Commissario Liquidatore e legale rappresentante pro tempore dott. C.D., convenuta, con l'intervento in causa dell'I.A. S.p.a. ((...)), in persona dei legali rappresentanti pro tempore dott. F.B. e dott. G.T., rappresentata da G.B.-G.B. S.C.p.A., in persona dei suoi legali rappresentanti, terza chiamata in causa, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattese, così provvede:

- respinge la domanda;

- dichiara le spese del giudizio interamente compensate tra l'attrice e la convenuta e tra la convenuta e la terza chiamata in causa;

- pone in via definitiva a carico dell'attrice e della convenuta per la metà ciascuna le spese di c.t.u. già liquidate.

Sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.

Così deciso in Pescara, il 30 marzo 2018.

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2018.


Avv. Francesco Botta

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